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Psicoeducazione per i familiari nei Disturbi Alimentari


Reazioni emotive disfunzionali dei familiari di fronte ai sintomi dei Disturbi Alimentari

Disturbi Alimentari: il ruolo dei familiari

L’intervento psicoterapeutico rispetto ai Disturbi Alimentari (DCA Disturbi del Comportamento Alimentare v. articolo) avviene in setting individuale, tuttavia, se la persona è d’accordo, risulta utile la partecipazione dei familiari o delle persone significative ad alcuni colloqui psicoterapeutici.
Ciò avviene soprattutto nel caso di pazienti adolescenti.
Le principali situazioni in cui è utile coinvolgere i familiari sono:
– se gli altri possono essere d’auto alla paziente nell’attuare i cambiamenti durante il percorso terapeutico
– se gli altri rendono difficoltoso il cambiamento della paziente, ad esempio commentando in maniera critica e aggressiva il suo aspetto fisico o la sua alimentazione.

Relativamente a quest’ultimo aspetto, si rileva frequentemente come la scarsa conoscenza dei sintomi presenti nei Disturbi Alimentari, unitamente a determinate caratteristiche individuali (es. difficoltà a controllare le emozioni dolorose) dei familiari, possono generare una scorretta interpretazione dei comportamenti problematici presentati dalla persona affetta da Anoressia, Bulimia o Alimentazione Incontrollata, e scatenare il manifestarsi di reazioni emotive disfunzionali che possono contribuire al mantenimento del problema.

disturbi alimentariRispetto a ciò emerge che, soprattutto all’esordio del problema, spesso i familiari costruiscono un’interpretazione e spiegazione distorta sui comportamenti sintomatici, percependoli scorrettamente come “una stupida fissazione”, come “un problema che può essere facilmente superato solo con la propria forza di volontà”, come “una vendetta nei nostri confronti”, etc., anziché come sintomi patognomici di un disturbo psicologico.
Sulla base di tali spiegazioni scorrette, spesso i familiari esprimono commenti critici e aggressivi nei confronti della persona, a causa della rabbia provata o in virtù dell’idea che mediante con una comunicazione colpevolizzante si può costringere la persona a interrompere i comportamenti disfunzionali.

Purtroppo tale reazione spesso genera l’effetto contrario a quello desiderato, ovvero i commenti critici raramente ottengono risultati positivi.
Viceversa, nella maggior parte dei casi le critiche non sono ascoltate oppure generano nella persona affetta dal Disturbo Alimentare emozioni negative, che spesso sono accompagnate da un’accentuazione dei comportamenti problematici, quali l’isolamento sociale, il mangiare da sola, le abbuffate, il digiuno, il vomito auto-indotto, etc. Inoltre reazioni ostili e colpevolizzanti tendono a creare gravi conflitti interpersonali in casa, rendendo tutti i familiari esausti e disperati, oppressi da un angosciante senso di impotenza di fronte ad un disturbo che appare incomprensibile.

In altri casi, i familiari manifestano un atteggiamento eccessivamente protettivo verso la persona, la quale talvolta può utilizzare il controllo dell’alimentazione, del peso e della forma del corpo come strumento per manifestare il suo desiderio di libertà e autonomia.

Rispetto a ciò, inoltre, un problema frequentemente osservato è la presenza di reazioni contrapposte da parte dei familiari, ovvero uno dei familiari tende a reagire con una risposta comportamentale che compensa quella dell’altro familiare. In tal senso accade, ad esempio, che la madre sia iperprotettiva mentre il padre reagisce ignorando il problema della figlia o attaccandola con commenti ostili e aggressivi.

Le reazioni polarizzate e opposte da parte dei familiari possono contribuire al mantenimento del Disturbo Alimentare perché disorientano e confondono la persona affetta da DCA.

In altri casi, infine, possono stimolare nella persona l’adozione di comportamenti disfunzionali per influenzare le relazioni all’interno della famiglia. Ad esempio un’adolescente può accentuare i sintomi del disturbo sia per farsi accudire da una madre iperprotetiva, sia per attrarre l’attenzione di un padre che appare indifferente rispetto al problema.

In tutti i casi sopra menzionati è necessario modificare la modalità di fronteggiare il problema, sia mediante l’apprendimento di informazioni corrette sul disturbo, sia adottando uno stile comunicativo maggiormente adeguato e univoco, finalizzato ad aiutare e sostenere il membro della famiglia affetto da Disturbo del Comportamento Alimentare.

Collaborazione dei familiari e motivazione al cambiamento nei Disturbi Alimentari
Assume rilevanza evidenziare che la buona riuscita dell’intervento psicoterapeutico nei Disturbi Alimentari necessita di una solida alleanza e di un’attiva collaborazione tra paziente e terapeuta, ovvero la motivazione al cambiamento e l’impegno e lo sforzo del paziente nel seguire le indicazioni terapeutiche ricevute e nell’attuare i piccoli passi gradualmente indicati costituiscono le condizioni indispensabili per la possibilità del trattamento e per il suo buon esito.
E’ necessario che i familiari siano consapevoli di alcuni fenomeni tipici: nei pazienti che manifestano un Disturbo Alimentare (soprattutto nei casi di Anoressia) è frequentemente presente una iniziale ‘negazione’ del problema, una scarsa o instabile motivazione intrinseca, ed una notevole difficoltà ad abbandonare determinate convinzioni sottese ai sintomi, generalmente provocato dalla tipica egosintonia dei sintomi, dal terrore di perdere il controllo.
Le difficoltà nella motivazione o nel miglioramento sintomatologico possono inoltre essere determinate dalla lunga durata del disturbo, dalla comorbilità con Disturbi di Personalità o altri disturbi di Asse I, dalla presenza di specifici sintomi, etc.
Nella fase iniziale del percorso terapeutico risulta dunque necessario che i familiari possiedano o acquisiscano il più possibile una chiara consapevolezza delle difficoltà presenti.
Inoltre, come evidenziato in precedenza, in ambito clinico si rileva come l’esito del trattamento può essere ostacolato da un ambiente familiare tendente a reagire ai sintomi con ostilità o viceversa con controproducente iperprotezione/de-responsabilizzazione, con minimizzazione o negazione della gravità del quadro clinico (in alcuni casi a causa della scarsa conoscenza del disturbo, in altri casi a causa di grave ansia che impedisce di accettare una realtà difficile, o infine a causa di immotivata diffidenza verso le figure professionali preposte alla cura del disturbo), oppure con aspettative irrealistiche legate ai tempi necessari alla persona affetta dal disturbo per raggiungere un miglioramento visibile.
In molti casi quest’ultimo fattore genera nella persona affetta dal disturbo alimentare reazioni emotive di intensa rabbia, ansia, vergogna e scoraggiamento, che possono condurre ad arrendersi pur essendo in realtà vicine al raggiungimento di apparentemente piccoli ma in realtà grandi obiettivi.
Risulta viceversa necessario che i familiari, sulla base delle corrette informazioni ricevute, nutrano aspettative realistiche, siano in grado di sostenere e incoraggiare adeguatamente la persona, di riconoscere le inevitabili oscillazioni nella motivazione senza assecondarle come se ciò costituisse la vera volontà del paziente (anziché un sintomo, come accade nella maggior parte dei casi), di aiutare per quanto possibile la persona ad attuare durante il difficile momento dei pasti le indicazioni terapeutiche, etc.
Sulla base di quanto sopra esposto, pertanto, si evidenzia come è necessario che i familiari collaborino con il terapeuta ed aiutino la persona poiché il loro ruolo può essere molto prezioso durante il trattamento.
Infine, per quanto concerne la motivazione al cambiamento del paziente, si rileva che le persone che presentano specifici tratti caratteriali disfunzionali sottesi al Disturbo Alimentare (es. marcata impulsività, marcato evitamento di qualsiasi situazione temuta, sfiducia e difficoltà a chiedere l’aiuto degli altri, grave abbattimento di fronte alle difficoltà o ‘imperfezioni’ nell’esecuzione di quanto stabilito con il terapeuta con conseguente perdita di fiducia in se stessi, convinzione di dover risolvere qualsiasi problematica psicologica autonomamente, etc.), oppure Disturbi di Personalità conclamati in comorbilità con il Disturbo Alimentare, possono sperimentare maggiori difficoltà rispetto ad altri pazienti con la medesima diagnosi di disturbo alimentare sia nella fase di costruzione che nel mantenimento della motivazione al cambiamento, presentando un alto rischio di drop-out (interruzione prematura del trattamento).
In molti casi, ma non in tutti, tali problematiche iniziali riescono ad essere riconosciute e successivamente superate dalla persona, soprattutto se essa è supportata dai familiari.

AUTORE: Dott.ssa M. Gaudio – Psicologa Psicoterapeuta
sedi: Mirano (Venezia) – Padova

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Le persone pensano ed agiscono sulla base dei significati che gli eventi hanno per loro, pur non avendo sempre consapevolezza di ciò che fa emergere questi significati

A. Salvini, 1998

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