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Problematiche relazionali


La manipolazione psicologica: la trappola del bisogno di approvazione

La manipolazione emotiva costituisce una forma di subdola violenza psicologica, la quale può generare in chi la subisce una grave distorsione della percezione di sé e della realtà.
Di fronte ai frequenti attacchi ricevuti, la persona vittima di manipolazione può iniziare a provare sempre maggiore disorientamento, insicurezza e confusione, a dubitare della propria percezione degli eventi, arrivando infine a vedere le cose dal punto di vista del manipolatore, lasciandosi spegnere da una relazione distruttiva.
In molti casi le persone vittime di manipolazione arrivano a soffrire di grave ansia e depressione.

Nella maggior parte dei casi il manipolatore/la manipolatrice è una persona a cui si vuole molto bene, verso cui si prova fiducia o rispetto (partner, genitore, amico, datore di lavoro, etc.).
Spesso la persona manipolatrice è stata ‘idealizzata’ da parte di chi subisce la manipolazione, e considerata ad esempio come il partner perfetto per la propria vita, come un genitore amorevole che vede e dice sempre la verità, come un amico/a importante, come un capo competente capace di valutare obiettivamente le competenze del lavoratore, etc.
In alcuni casi la manipolazione si verifica in modo sporadico all’interno di una relazione (sentimentale, familiare, amicale, lavorativa, etc.) sostanzialmente sana, spesso in concomitanza con momenti di intenso nervosismo e stress emotivo; in altri casi la manipolazione diventa un comportamento sistematico, frequente o costante, finalizzato a esercitare un pericoloso potere sulla persona.
Per la vittima è molto difficile e doloroso abbandonare l’immagine idealizzata e idilliaca dell’altro, anche quando i dati di realtà contrastano palesemente con tale convinzione.
A volte diventa paradossalmente più facile auto-accusare se stessi e logorarsi in sensi di colpa ingiustificati, accettando passivamente le critiche del manipolatore, piuttosto che accettare di non avere di fronte un partner/genitore/amico così meraviglioso come si voleva credere, e piuttosto che rendersi consapevole di essere umiliati e maltrattati da una persona che deforma (consapevolmente o inconsapevolmente) la realtà e che esige che la sua visione distorta venga accettata.

E’ proprio in virtù di tale idealizzazione che per la vittima diventa difficile non credere alla visione che l’altro ha di lei, soprattutto se nelle parole del manipolatore è presente un minimo di verità, o se quelle parole colpiscono le più grandi paure e fragilità della vittima (ad esempio, la paura di essere abbandonati, di essere egoisti, incapaci, ‘sbagliati’, etc.).
Spesso, infatti, tali vissuti emotivi si strutturano sulla base di antichi schemi disfunzionali relativi a se stessi ed alle relazioni interpersonali che impediscono alla persona di difendersi (v. articolo Gli schemi cognitivi disfunzionali).
La persona arriva a credere che l’altro sia capace di ‘leggere’ chiaramente dentro di lei e di giudicarla con precisione.
Ed è a causa dell’investimento emotivo esistente che la vittima prova un disperato bisogno di ottenere approvazione e conferme da parte dell’altro.
Bisogno di approvazione che diventa la trappola da cui a volte si precipita in una grave e angosciante deformazione della realtà obiettiva, in una perdita della propria identità, delle proprie opinioni e dei propri diritti, mantenendo il potere psicologico distruttivo del manipolatore.

In queste situazioni inizialmente la persona si impegna in lunghe quanto sterili discussioni finalizzate a difendersi ed a convincere il manipolatore del fatto che sta sbagliando.
In tal modo, ad esempio, una moglie può continuare per ore e ore a cercare di dimostrare al marito ingiustamente geloso che le sue accuse di volere sedurre costantemente altri uomini sono infondate, oppure un figlio può continuare a tentare di far rendere conto il padre/madre che non è un irriconoscente soltanto perché non è d’accordo con lui/lei e non è disposto a cedere al volere genitoriale rinunciando ai propri desideri.

Tuttavia, nelle relazioni disfunzionali tali tentativi di risoluzione del conflitto risultano vani, in quanto nella maggior parte dei casi il manipolatore/la manipolatrice è sinceramente e fermamente convinto dei suoi giudizi, ritiene di avere assolutamente ragione, spesso a causa di un evidente egoismo, di una visione autocentrata e autoreferenziale della realtà, di un’immaturità relazionale di cui non è consapevole, o da cui non desidera evolversi.
Pertanto non risulta assolutamente facile correggere determinate sue pretese ed interpretazioni.

In seguito, di fronte alla rigida e ostinata sicurezza mediante cui il manipolatore rimane ancorato alla sua visione distorta della realtà, la persona può iniziare a vacillare, a diventare insicura, a perdere gradualmente fiducia nella sua capacità di valutare lucidamente e obiettivamente gli eventi, ad avere dubbi sulla sua memoria e sulle sue percezioni, fino a lasciarsi intrappolare nella prospettiva del manipolatore, spesso isolandosi da altre persone.

A volte la vittima, annebbiata da un’autoaccusa ingiusta, rimane dolorosamente aggrappata al ricordo del legame magico che c’era nel passato, sperando di poterlo rendere nuovamente realtà nel presente “se soltanto mi comportassi meglio..”.

 

 

Relazioni conflittuali nella famiglia e nella coppia: la percezione dell’altro e gli schemi sulle relazioni
Nelle coppie e nelle famiglie si riscontra un insieme di dinamiche relazionali che generano legami causa-effetto complessi, circolari e multidirezionali, nelle reciproche reazioni emotive e comportamentali.
In tal senso, quando un membro della relazione presenta aspetti di personalità, da cui discendono determinate modalità di pensiero e comportamento, aspettative, regole e convinzioni, che collidono con gli aspetti di personalità di un altro familiare o del partner, conducendo a frequenti incomprensioni, aspri scontri, dolorose insoddisfazioni, è necessario che entrambi acquisiscano chiara consapevolezza del ruolo che ricoprono nel mantenimento del conflitto e che entrambi pervengano ad un’effettiva motivazione al cambiamento, al fine di riuscire a realizzare un miglioramento nella relazione.

Come precedentemente esposto (v. articolo ‘Gli schemi cognitivi’) la psicoterapia cognitiva, fondandosi sull’assunto secondo cui la reazione emotiva e comportamentale di una persona è determinata dai processi di interpretazione soggettiva della realtà, dunque dal modo in cui il soggetto percepisce se stesso e gli eventi esterni, pone in luce la rilevanza del sistema di convinzioni della persona, ovvero degli schemi cognitivi sottostanti le valutazioni della realtà e le reazioni emotive e comportamentali sulla cui base possono strutturarsi e mantenersi specifiche forme di sofferenza psicologica.
Gli schemi cognitivi costituiscono l’insieme di convinzioni più profonde e spesso inconsapevoli da cui le percezioni della realtà discendono, e agiscono come delle ‘lenti’ attraverso cui la persona tende a valutare se stessa, la propria vita, le relazioni interpersonali.
In tal senso, gli schemi cognitivi, la cui origine spesso affonda le sue radici nel passato, influenzano la percezione delle situazioni nel presente.

In molti casi, nell’ambito delle relazioni di coppia e nei rapporti familiari, le interpretazioni che le persone costruiscono relativamente al comportamento dell’altro derivano da determinati “schemi sulle relazioni”, spesso automatici e inconsapevoli, appresi e consolidati a partire da fonti quali la famiglia di origine, precedenti esperienze relazionali, specifiche regole socio-culturali, modelli ideali, etc.
Gli schemi comprendono le regole (standard) riguardo a ciò che dovrebbe essere il comportamento adeguato dell’altro, e rispetto a ciò che, viceversa, costituisce una violazione più o meno grave dei limiti. In alcuni casi, gli standard risultano essere eccessivamente rigidi oppure perfezionistici, dunque facilmente generativi di delusione e insoddisfazione.

Parallelamente agli schemi personali che i singoli partner o familiari portano all’interno del rapporto, ognuno ne sviluppa uno specifico relativo alla specifica relazione attuale ed al partner.

Rispetto a ciò, gli schemi rappresentano una sorta di ‘mappa’ mediante cui la persona perviene a percepire e valutare in un determinato modo l’altro, a costruire una spiegazione dei suoi comportamenti, a predire il suo comportamento futuro.
Spesso si rileva come entro un clima di tensione le persone tendono ad attribuire un comportamento negativo del partner a tratti caratteriali globali e costanti, a cattive intenzioni, a motivazioni egoistiche o a mancanza di amore, costruendo e consolidando un’immagine sempre più negativa dell’altro.

In tal senso, in un contesto di conflittualità, spesso le persone scivolano frequentemente in reciproche interpretazioni distorte dell’altro (quali ad esempio inferenze obiettivamente errate rispetto alle intenzioni sottese a parole e comportamenti, o generalizzazioni ingiustificate), che ostacolano la capacità di attuare un’adeguata comunicazione verbale, una chiara ed efficace esplicitazione delle proprie intenzioni/desideri/paure, una matura e reciproca correzione delle modalità comportamentali disfunzionali, aggravando in tal modo le conflittualità presenti ed impedendo di ristabilire l’equilibrio.

AUTORE: Dott.ssa M. Gaudio – Psicologa Psicoterapeuta
sedi: Mirano (Venezia) – Padova

Dott.ssa M. Gaudio

Psicologa Psicoterapeuta


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Le persone pensano ed agiscono sulla base dei significati che gli eventi hanno per loro, pur non avendo sempre consapevolezza di ciò che fa emergere questi significati

A. Salvini, 1998

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