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Disturbo Ossessivo Compulsivo: le reazioni emotive dei familiari


Le reazioni emotive dei familiari nel Disturbo Ossessivo Compulsivo

I familiari che vivono accanto ad una persona affetto da Disturbo Ossessivo Compulsivo (v. articoli correlati) sono sempre coinvolti, in misura maggiore o minore, direttamente o indirettamente, nella sintomatologia del paziente.
In alcuni casi i familiari partecipano alle compulsioni del paziente, spontaneamente o in seguito alle richieste di quest’ultimo (ad esempio, lavando e disinfettando gli oggetti temuti secondo precise modalità stabilite dal paziente, eliminando stimoli che attivano le ossessioni, fornendo costanti rassicurazioni, assumendosi la responsabilità delle sue scelte e decisioni, partecipando o eseguendo personalmente determinati controlli, etc.), in altri casi i familiari non partecipano ai rituali ma sono ugualmente costretti a subirli.

Alcuni autori (Van Noppen, Rasmussen, Eisen et al., 1991) hanno collocato le tipologie di reazione emotiva dei familiari di fronte alla sintomatologia ossessivo-compulsiva all’interno di un continuum che si estende dall’estremo atteggiamento accondiscendente fino all’estrema opposizione.

Le famiglie accondiscendenti tendono a partecipare alla sintomatologia del paziente, a ‘tollerarla’ loro malgrado, accogliendo e soddisfando le richieste indotte dalle crisi ossessive, al fine di alleviare o prevenire l’ansia del proprio congiunto, di proteggerlo dal malessere emotivo provato, di ridurre il tempo che egli trascorre nell’esecuzione dei rituali e le conseguenze negative (es. ritardi nell’arrivare a lavoro, a scuola, etc.) di ciò.
Le ricerche realizzate in tale ambito hanno riscontrato come una grande percentuale dei familiari conviventi, tra l’80% e il 90%, partecipa direttamente ai comportamenti patologici del paziente.

Viceversa le famiglie oppositive si mostrano estremamente critiche, severe e ostili nei confronti del paziente e della sintomatologia, disprezzando, deridendo, umiliando il paziente per il suo disturbo, fino ad attivare alla violenza fisica.
In altri casi si rileva una reazione “mista”, ovvero all’interno della stessa famiglia alcuni membri (es. madre) risultano accondiscendenti mentre altri (es. padre) appaiono marcatamente oppositivi, oppure il medesimo familiare oscilla tra le due modalità di reazione emotiva in momenti diversi.

Sia nel caso dell’accondiscendenza che nel caso dell’ostilità, l’intenzione dei familiari è quella di aiutare la persona affetta da Disturbo Ossessivo Compulsivo a liberarsi dalle rimuginazioni ossessive e dall’ansia, rassicurandola pazientemente oppure ‘scuotendola’ vigorosamente.
Tuttavia, in entrambi i casi, gli effetti di tali reazioni dei familiari sulla sintomatologia risultano essere gravemente controproducenti, contribuendo al mantenimento o all’esacerbazione dei sintomi.

Varie ricerche hanno infatti evidenziato come l’accondiscendenza costituisce un fattore prognostico negativo in quanto è stata riscontrata un’associazione tra questa reazione dei familiari ed una maggiore gravità della sintomatologia ossessiva nei pazienti, una peggiore risposta terapeutica sia ai trattamenti farmacologici che a quelli cognitivo-comportamentali, e più frequenti e gravi ricadute.
Ciò avviene per vari motivi.
In primis, il familiare che partecipa ai rituali del paziente fornendo costanti rassicurazioni sulle sue paure, pur ottenendo nell’immediato una riduzione dell’ansia del paziente, gli impedisce di vivere quelle esperienze difficili ma utili e necessarie a disconfermare le sue credenze scorrette relative alle probabilità di accadimento dell’evento temuto, alla gravità delle sue conseguenze, alle possibilità di imparare a fronteggiare e tollerare l’ansia e il disagio.
Inoltre la riduzione temporanea e immediata dell’ansia genera l’effetto di rinforzare e consolidare le credenze del paziente relative alla necessità di tali azioni compulsive, motivandolo a ricorrervi nuovamente in futuro ed a reiterare le stesse richieste al familiare.
Parallelamente, la riduzione delle conseguenze gravemente negative dell’attività ossessiva (ad esempio, molto tempo trascorso nelle compulsioni, intenso stress emotivo, gravi compromissioni della vita quotidiana) favorita dalla partecipazione dei familiari ai rituali genera l’effetto di rendere la sintomatologia meno evidente e più tollerabile al paziente, diminuendo la sua motivazione ad affrontare il disturbo, impegnandosi seriamente per superarlo.
Infine, l’accondiscendenza provoca livelli di stress e depressione elevati e un grave peggioramento nella qualità della vita dei familiari.

Parallelamente, le modalità di reazione dei familiari collocabili sulla estrema polarità dell’ostilità sono associate ad una più alta percentuale di drop-out, gravi ricadute ed esiti peggiori del trattamento.
Ciò avviene soprattutto perché, in conseguenza dell’ostilità e del criticismo familiare, il paziente prova un doloroso senso di vergogna e di sfiducia che spesso conduce a nascondere il disturbo ed a vedersi come incapace di fronteggiarlo, rendendo maggiormente difficile la decisione di riprendere le redini della propria vita richiedendo un aiuto professionale ed aumentando la probabilità di interruzione precoce (drop-out) dell’eventuale trattamento in corso.

AUTORE: Dott.ssa M. Gaudio – Psicologa Psicoterapeuta
sedi: Mirano (Venezia) – Padova

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Dott.ssa M. Gaudio

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Le persone pensano ed agiscono sulla base dei significati che gli eventi hanno per loro, pur non avendo sempre consapevolezza di ciò che fa emergere questi significati

A. Salvini, 1998

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